Il principale produttore di manzo in Brasile, la multinazionale JBS, è coinvolto direttamente nell’approvvigionamento di bovini da aree dell’Amazzonia deforestate illegalmente, secondo quanto scoperto da una nuova indagine giornalistica internazionale. Questa carne, nonostante il clamore degli incendi che hanno devastato l’Amazzonia soltanto un anno fa, continua ad arrivare in grandi quantità in Italia, ancora oggi il primo importatore Europeo, dove è usata principalmente per la produzione di Bresaola della Valtellina e carne in scatola.

In questi giorni l’attenzione sta tornando sull’Amazzonia, dove sta iniziando una nuova stagione degli incendi che si prospetta persino peggiore di quella drammatica del 2019. A giugno 2020 i satelliti dell’Istituto nazionale di ricerche spaziali brasiliano (INPE) hanno rilevato nell’Amazzonia brasiliana 2.248 nuovi roghi, in netto aumento rispetto ai 1.880 di giugno 2019. Nelle prime tre settimane di luglio i satelliti hanno individuato altri 2.487 nuovi roghi

I pascoli e le monocolture sono il principale motore della deforestazione che sta portando alla rovina il più grande “polmone verde” del Pianeta, facendo del Brasile uno dei maggiori responsabili del cambiamento climatico. Secondo la FAO, in Brasile la creazione di nuovi pascoli è responsabile di circa l’80 per cento di tutta la deforestazione prodotta ogni anno. 

Il manzo brasiliano in Italia

Nonostante la crisi degli incendi in Amazzonia, nel 2019 l’Europa ha importato dal Brasile 65 mila tonnellate di manzo, un dato in forte aumento rispetto alle 43 mila tonnellate importate nel 2017 (dati Eurostat). L’Italia è il principale importatore di manzo brasiliano in Europa, con 27mila tonnellate nel 2019, per un valore di 137 milioni di euro.

Questa carne in Italia è utilizzata principalmente per produrre Bresaola della Valtellina (circa 13mila tonnellate, secondo i produttori), carne in scatola Simmenthal (nell’ultimo anno almeno 1,7mila tonnellate) e altri prodotti industriali o destinati alla ristorazione.

Secondo un database sugli scambi commerciali che abbiamo consultato, negli ultimi 12 mesi (tra maggio 2019 e aprile 2020) le aziende italiane hanno importato da JBS 11,5mila tonnellate di carne di manzo. I principali importatori sono Primo Bervini (3,8mila tonnellate), Silca (2mila tonnellate) e Bolton Food (1,9mila tonnellate, in questo caso spesso identificata come “Simmenthal”). 

Le tre aziende non hanno voluto rispondere a una nostra richiesta di commento, in cui abbiamo chiesto se sono consapevoli dei problemi legati alla deforestazione del manzo brasiliano che continuano a importare dal Brasile. Un anno fa Primo Bervini, presidente dell’azienda Bervini, ci disse che “per informazioni ricevute” valutava la JBS “in linea con gli impegni per evitare la deforestazione dell’Amazzonia”

“Il nord del Brasile, non essendo abilitato all’esportazione verso la Comunità Europea, ci induce a pensare che anche da quelle zone non ci siano contatti che riguardino il nostro lavoro”, disse Bervini. In realtà i pascoli abilitati all’esportazione verso l’Europa, censiti dal governo brasiliano, si trovano in tutto il Brasile, in particolare nel Nord, in Stati come il Mato Grosso o il Pará. 

Sempre tra maggio 2019 e aprile 2020 le aziende italiane hanno importato 7,2mila tonnellate di manzo dalla Marfrig Global Foods, di cui 4,8mila la Silca, 1,9mila la Tönnies Fleisch, 419 la Bolton Food. Nello stesso periodo l’Italia ha importato 8,6mila tonnellate di manzo dalla Minerva, di cui 1,4mila la Silca, 1,6mila la Agro Co.Di Giuseppe Comparoni & co., mille tonnellate la Quabas Group.

Complessivamente la Silca Spa è l’azienda che ha importato in Italia i maggiori quantitativi di manzo dal Brasile (9,3mila tonnellate tra maggio e aprile), nonostante gli incendi addirittura in aumento del 30 per cento rispetto ai 12 mesi precedenti. L’azienda non ha risposto alla nostra richiesta di replica.

Pascoli in Amazzonia

Il principale produttore di manzo Brasiliano, che è anche il principale produttore di carne al mondo, è la multinazionale JBS, un gigante da 46 miliardi di dollari di fatturato l’anno. In passato JBS è stata più volte chiamata in causa per il suo ruolo nella deforestazione in Amazzonia: secondo dati dell’istituto di ricerca brasiliano Imazon circa il 75 per cento di tutti i pascoli in Amazzonia appartengono o forniscono questa azienda

L’azienda da sempre si dichiara estranea ai problemi della deforestazione: “Le operazioni di approvvigionamento di bestiame e l’intero sistema di monitoraggio dei fornitori sono controllati annualmente e in modo indipendente”, ci scrive. JBS fa riferimento a degli audit indipendenti che lei stessa commissiona: “I risultati degli audit svolti negli ultimi sei anni mostrano che oltre il 99,9 per cento degli acquisti di bestiame della JBS erano in linea con i criteri sociali e ambientali dell’azienda. L’audit del 2019 ha dimostrato che il 100 per cento degli acquisti di JBS del 2019 erano in linea alle policy dell’azienda”.

Leggendo la relazione dell’audit svolto tra aprile e giugno 2019, si legge infatti che “non è stata trovata nessuna prova di acquisti provenienti da allevamenti posti sotto embargo dall’Ibama (l’agenzia per l’ambiente brasiliana, ndr)”. Lo stesso documento, però, precisa anche che “JBS non è riuscita a creare un processo di tracciabilità in grado di monitorare i fornitori indiretti”.

Per “fornitori indiretti” si intendono tutti gli allevamenti dove il bestiame è nato ed è stato allevato prima di raggiungere l’ultimo allevamento, in genere di ingrasso, prima del viaggio verso i macelli dell’azienda. In altre parole JBS – secondo l’audit “indipendente” commissionato dall’azienda stessa – riesce a monitorare solo gli allevamenti di ingrasso, ma non sa da quali allevamenti provengono i capi nei passaggi precedenti

“Come giustificazione”, si legge ancora nell’audit, “l’azienda afferma che la tracciabilità dei capi dalla nascita al macello sarebbe possibile solo attraverso un accesso totale ai dati sui trasporti degli animali” che sono a disposizione soltanto del ministero dell’agricoltura brasiliano. Con questa affermazione l’azienda si mette al riparo, dichiarando in sostanza di “non poter sapere” da dove vengono i capi prima di raggiungere i suoi fornitori diretti in Brasile.  

Un selfie di troppo

Un’inchiesta internazionale prodotta da The Bureau of Investigative Journalism (TBIJ) e da Repórter Brasil aggiunge un nuovo tassello a questo quadro, provando il coinvolgimento diretto di JBS nel trasferimento del bestiame da un’azienda sotto embargo a un’altra “pulita”, da cui poi la multinazionale della carne ha acquistato migliaia di capi destinati a due dei suoi macelli in Amazzonia. 

L’allevamento sotto embargo in questione si chiama Estrela do Aripuanã, si trova in Mato Grosso, nell’Amazzonia Brasiliana, e appartiene all’imprenditore Ronaldo Venceslau Rodrigues da Cunha. L’allevamento è finito sotto embargo a causa di una superficie di circa 1.400 ettari deforestati illegalmente, che nel 2012 sono costati all’imprenditore una multa di 2,2 milioni di reais (circa 360mila euro). Ancora nel 2018 e nel 2019 i satelliti della Nasa (VIIRS) mostrano diversi roghi accesi lungo i bordi di questa fazenda, apparentemente accesi per estenderne la superficie. 

Lo stesso imprenditore è proprietario anche di un’altro allevamento, Estrela do Sangue, situato sempre in Mato Grosso ma esterno all’area sotto embargo. Un registro di movimentazione del bestiame, ottenuto dagli autori dell’inchiesta, elenca tra giugno 2018 e agosto 2019 il viaggio di 158 camion con un carico tra i 45 e i 50 capi l’uno, per un carico complessivo superiore ai 7.500 capi, spostati dall’allevamento sotto embargo (Estrela do Aripuanã) a quello “pulito” (Estrela do Sangue)

Quest’ultimo allevamento, tra novembre 2018 e novembre 2019, secondo gli stessi registri, ha consegnato 7mila capi a due dei macelli JBS in Mato Grosso

Un elemento sorprendente dell’inchiesta di TBIJ e Repórter Brasil è che la stessa JBS avrebbe avuto un ruolo protagonista nella movimentazione del bestiame dall’allevamento sotto embargo a quello “pulito”. Le prove sono una serie di fotografie, pubblicate a giugno e luglio 2019 su Facebook da alcuni conducenti dei tir carichi di bovini, che mostrano una lunga fila di camion con il marchio JBS partire dall’allevamento Estrela do Aripuanã e raggiungere l’allevamento Estrela do Sangue. Un trasferimento di centinaia di capi, che trova riscontro in quei giorni anche nei dati del registro sui movimenti di bestiame. 

“Eccoci di nuovo con del bestiame magro”, scrive il conducente nel post incriminato, poi rimosso da Facebook. “Aripuana x Juina (entrambe località del Brasile, ndr), allevamento estrela aripuana, direzione allevamento estrela do sangue, lavorando insieme a belle persone è diventata una gita”.

Foto: Facebook, Fazenda Estrela do Aripuanã

La JBS, in una replica all’inchiesta, afferma di aver “aperto un’indagine” riguardo la serie di fotografie contenute nel post, e che “il trasporto di bestiame tra allevamenti diversi non rientra nelle sue pratiche standard”. L’azienda però è smentita da un’intervista di alcune settimane fa in cui Leonardo Vieira, coordinatore della logistica di Friboi (un marchio controllato da JBS), promuove un sistema di “trasporto a tre passaggi”: i camion sono utilizzati per trasportare bestiame da un allevamento al pascolo (primo passaggio) a un altro dove si effettua l’ingrasso (secondo passaggio). Qui, per ridurre i costi, gli stessi tir scaricano il bestiame e ne caricano altro già ingrassato, “pronto” e destinato al macello (terzo passaggio).

Una delle foto pubblicate su Facebook mostra un camion della JBS nell’area dell’allevamento sotto embargo.

La deforestazione nel piatto

A luglio 2020 un rapporto di Amnesty International ha documentato un caso analogo che riguarda sempre la multinazionale JBS, responsabile di aver acquistato bestiame proveniente da allevamenti situati in aree deforestate dell’Amazzonia, facendolo transitare (in un caso per pochi minuti) attraverso altri allevamenti “puliti” e certificati.

JBS partecipa alle violazioni dei diritti umani contro le popolazioni indigene e gli abitanti delle riserve, contribuendo a incentivare economicamente i pascoli allevati nelle aree protette”, afferma Amnesty.

In Amazzonia il collegamento tra incendi, deforestazione e pascoli non riguarda però la sola JBS. Uno studio recente del Chain Reaction Research sovrappone le aree colpite dagli incendi nel 2019 con le mappe di approvvigionamento di diverse aziende della carne.

La ricerca si basa sui dati del sistema satellitare NASA VIIRS, che da luglio a ottobre 2019 ha registrato 981.282 roghi. Secondo i ricercatori, per quanto riguarda le aziende della carne, quelle più coinvolte sono state la JBS, con 317.096 roghi nelle aree di approvvigionamento, Minerva, con 105.091 roghi, e Marfrig Global Foods, con 100.341 roghi.

 

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