Viaggio in uno dei principali hub per l’allevamento di pesce in Europa nel tratto di mare tra la regione Etolia-Acarnania e le Isole Ionie.

La Grecia è il principale produttore europeo di spigole e orate destinate all’export (l’83 per cento del totale): il 41% va in Italia, il Paese che spende di più per il consumo di pesce

 

Praterie di posidonia ingiallite, popolazioni di pesci selvatici crollate numericamente, aree di mare «morte». È una lenta agonia quella che negli ultimi decenni ha interessato il tratto di mare tra la regione Etolia-Acarnania e le Isole Ionie, in Grecia Occidentale, da quando sul finire degli anni ‘80 hanno iniziato a proliferare allevamenti di spigole e orate, facendo di questo paradiso terrestre nel cuore del Mediterraneo uno dei principali hub per l’allevamento di pesce in Europa.

«Le attività di acquacoltura hanno prodotto ricadute pesanti sugli ecosistemi marini», rivelano i primi risultati di uno studio dell’Istituto per la protezione del mare Archipelagos, un organo di ricerca indipendente con sede in Grecia che a giugno ha condotto per la prima volta un’indagine sul campo per documentare in modo sistematico l’impatto degli allevamenti di pesce in questo tratto di mare, attraverso fotografie, rilievi e campionamenti delle acque e dei fondali. «I risultati preliminari dello studio rivelano un paesaggio morto, con ecosistemi marini danneggiati dalle attività di itticoltura che vi insistono da decenni», affermano i ricercatori in un resoconto pubblicato nei giorni scorsi.

Lo studio di Archipelagos non fa che confermare le tante testimonianze degli abitanti e dei pescatori delle isole e dei villaggi che si affacciano su questo tratto di mare, che già da tempo parlano di fondali fortemente danneggiati e di specie selvatiche ridotte ai minimi termini. «Quando costruisci una grande gabbia in un’area di mare chiuso come questa, dove dovrebbe essere vietata persino la pesca, ci sono delle conseguenze», afferma Tef Karfakis, biologo marino che con l’Ong Terra Sylvestris da anni denuncia l’impatto dell’itticoltura nel delicato equilibrio di questo tratto del mediterraneo, dove si trovano tre aree marine protette «Natura 2000». «Quando i pesci scelgono un tratto di fondale come area di riproduzione lo fanno perché trovano delle caratteristiche ambientali ben precise. Non puoi interferire mettendo un impianto di itticoltura in quel tratto, altrimenti comprometti questo equilibrio», afferma Karfakis.

La Grecia è il principale produttore europeo di spigole e orate (150mila tonnellate di produzione nel 2019). Questo pesce è destinato prevalentemente all’export (l’83 per cento del totale), di cui una fetta consistente (il 41 per cento) finisce in Italia, che è il Paese che spende di più in Europa per il consumo di pesce (11,6 mld di euro nel 2019, dati Eumofa).

Nella regione di Etolia-Acarnania e tra le isole Ionie si concentra quasi un terzo della produzione greca. In questa zona il governo greco sta programmando dal 2011 un’ulteriore espansione delle attività di acquacoltura che interessa 16 mila ettari di mare, in gran parte (il 70 per cento) allargando impianti già esistenti, il resto creando nuovi siti di allevamento. «Ci opponiamo a questo progetto che dedica 4 mila ettari agli impianti ittici sul tratto di costa tra la cittadina di Astakos e quella di Mytikas», ha detto Giannis Triantaphyllakis, sindaco di Xiromero, nella regione di Etolia-Acarnania.

Diversi studi negli anni hanno attestato l’impatto degli allevamenti di pesce negli ecosistemi circostanti, prima di tutto a causa dello sversamento in acqua di carichi organici, ovvero i mangimi non consumati e i reflui degli animali. Uno studio del 2011 si focalizza proprio sulle spigole e le orate allevate in Grecia, e stima che per ogni 100 tonnellate di pesce prodotto vengano riversate in mare 9 tonnellate di nitrati.

Non solo nutrienti

L’elevato numero di allevamenti di spigole e orate in questa regione della Grecia ha incontrato una diffusa opposizione degli abitanti anche a causa di una serie di denunce pubbliche che hanno rivelato un utilizzo frequente di formaldeide, una sostanza cancerogena, per contrastare il proliferare di parassiti all’interno delle gabbie.

«Ho lavorato negli allevamenti ittici per 3 anni a Vonitsa (in Etolia-Acarnania, ndr) e per 11 anni nella zona di Igoumenitsa», ci racconta Christos Loverdos Stelakatos, ex dipendente di una delle principali aziende ittiche greche. «Mi occupavo della dieta dei pesci: il mio scopo era usare meno mangime possibile pur tenendo alta la quantità di pesce prodotto». Christos negli ultimi anni ha più volte denunciato pubblicamente, attraverso i social media, l’uso frequente di formaldeide negli allevamenti greci: «Mi occupavo anche nella gestione delle patologie», ci racconta. «Per tre volte ho rifiutato delle promozioni perché non condividevo l’utilizzo massiccio di sostanze cancerogene nei pesci». Secondo l’ex operaio, «ne mettevamo una quantità enorme per combattere un parassita che si annida nelle branchie e si nutre del sangue dei pesci, causando problemi di salute e sbiancando le branchie. L’unico modo per eliminare definitivamente il problema è immergere i pesci nel composto a base formaldeide».

L’utilizzo frequente di formaldeide negli allevamenti di pesce non è vietato, né un mistero in Grecia. Rispondendo a un’interrogazione parlamentare su questo argomento nel 2020, il vice ministro greco allo sviluppo rurale a all’alimentazione, Fotini Arabatzis, ha detto che «l’uso della formaldeide come farmaco veterinario è permesso per diverse specie, è sicuro e non lascia residui nei tessuti, perché si tratta di una sostanza molto volatile».

Fondi Europei

Dietro ai progetti di espansione degli allevamenti ittici in Etolia-Acarnania e in altre regioni della Grecia ci sono gli ingenti fondi che l’Europa negli ultimi anni ha destinato allo sviluppo dell’acquacoltura tra gli Stati Membri. Nel periodo 2014-2020 in Grecia sono stati assegnati 93 milioni di euro a 112 progetti di acquacoltura, nell’ambito dei programmi del Fondo europeo per la politica marittima, la pesca e l’acquacoltura (Feamp).

L’Unione Europea intende erogare risorse persino maggiori per l’acquacoltura nel periodo 2021-2027, in quanto considera l’allevamento di pesci un modo sostenibile di produrre cibo. «Come gli altri fondi strutturali, Il Feamp contribuirà al Green Deal Europeo sostenendo la protezione della biodiversità e la transizione verso la pesca e l’acquacoltura sostenibili», ha detto il commissario Europeo all’ambiente Virginijus Sinkevičius nell’ultima sessione plenaria del Parlamento Europeo a Strasburgo.

 

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