È iniziata una nuova stagione degli incendi in Amazzonia, che già nel mese di giugno e nelle prime settimane di luglio ha segnato nuovi record di roghi e -secondo diversi studi – entro settembre potrebbe rivelarsi peggiore di quella dell’estate 2019, quando le immagini della foresta che bruciava hanno suscitato clamore in tutto il mondo.
Secondo uno studio dell’Instituto de Pesquisa Ambiental da Amazonia (IPAM), con sede in Brasilia, nei primi mesi del 2020 la deforestazione in Amazzonia è cresciuta rispetto agli stessi mesi del 2019, e 4.500 km quadrati di aree già deforestate sono pronte ad essere incendiate. «Nei primi quattro mesi del 2020, i tassi di deforestazione sono cresciuti in un modo che non ho mai visto prima», afferma Paulo Moutinho, uno degli autori dello studio. «I motivi sono diversi: le persone che cercano di accaparrarsi nuove terre non sono rimasti in quarantena, mentre diverse misure del governo, come il ridimensionamento dell’Ibama e dell’ICM bio (le principali agenzie ambientali brasiliane, ndr), hanno indebolito la tutela della foresta».
«In Amazzonia la maggior parte degli incendi avviene nelle aree che sono state deforestate nei mesi precedenti», afferma Moutinho. «In queste aree vengono accesi i roghi nella stagione secca, per pulire i terreni dalla vegetazione rimasta, in modo da poterli usare per i pascoli o per l’agricoltura. Con questa dinamica nel 2019 molte aree sono state prima deforestate e poi bruciate».
I primi dati sugli incendi sembrano confermare queste previsioni: in tutto il 2019 l’agenzia spaziale brasiliana INPE ha registrato 89.196 incendi solo nell’Amazzonia brasiliana. A giugno 2020 i satelliti della stessa agenzia hanno già rilevato 2.248 incendi in Amazzonia, con un netto aumento rispetto ai 1.880 roghi registrati a giugno 2019. Nelle prime due settimane di luglio l’agenzia ha già registrato altri 1.444 nuovi roghi.
Deforestazione e esportazione di materie prime
Secondo i dati del Global Forest Watch, nel 2019 nel mondo abbiamo perso 11,9 milioni di ettari di foresta, di cui 3,8 milioni di foreste tropicali. Solo in Brasile l’anno scorso sono stati deforestati 1 milione e 361 mila ettari di foresta tropicale.
I ricercatori del Chain Reaction Research (CRR) condividono per il 2020 la previsione di una stagione degli incendi peggiore di quella dello scorso anno: «Quello che vediamo in Brasile, stando ai dati ufficiali, è che c’è stato un aumento, anche rispetto allo scorso anno che è stato un anno nero per la deforestazione», afferma Marco Tulio Garcia, analista del CRR. Il gruppo di ricerca di Garcia ha pubblicato nelle scorse settimane uno studio molto efficace, in cui ha sovrapposto le mappe delle aree colpite dagli incendi nel 2019 e le mappe delle aree di approvvigionamento dei principali produttori di carne bovina e soia in Amazzonia. In questo modo i ricercatori hanno osservato una maggiore incidenza degli incendi intorno ai silos di grandi aziende che commercializzano soia, in particolare Cargill e Bunge, o intorno ai macelli di produttori di carne, in particolare JBS, Minerva e Marfrig Global Foods.
Lo studio ha dimostrato ancora una volta il legame tra incendi, deforestazione, agricoltura, produzione ed esportazione di materie prime: «Non è possibile contrastare gli incendi e la deforestazione solo una volta l’anno, durante la stagione secca, come un’emergenza», commenta Moutinho.
Green Deal o deforestazione?
Nel 2019, quando è esplosa la crisi degli incendi in Amazzonia, i paesi del G7 hanno proposto aiuti per 20 milioni di dollari al Brasile per contrastare i roghi. Secondo una stima di Earthsight, nel 2018 gli stessi Paesi del G7 hanno importato dal Brasile 737,9 milioni di dollari soltanto di carne di manzo, la materia prima più legata alla deforestazione.
L’Europa e l’Italia hanno un ruolo di primo piano nell’importazione di materie prime legate alla deforestazione tropicale. Un dossier pubblicato nei giorni scorsi da Etifor, ente di ricerca legato all’Università di Padova, stima che dal 2000 al 2010 l’Europa abbia importato in media 36.585 milioni di tonnellate l’anno di carne, soia e olio di palma, equivalenti a 225.400 ettari l’anno di deforestazione. L’Italia nello stesso arco temporale ha causato ogni anno con le proprie importazioni 28.250 ettari di deforestazione.
Alla fine di maggio la Commissione Europea ha pubblicato la strategia Farm to Fork e una strategia per la biodiversità, entrambi documenti programmatici alla base del «Green Deal» europeo, che prendono in considerazione anche l’import di materie prime legate alla deforestazione. «La strategia Farm to Fork è piuttosto ambiziosa», afferma Nicole Polsterer di Fern, organizzazione specializzata in politiche forestali con sede a Bruxelles. «Molte Ong l’hanno applaudita perché per la prima volta l’Unione Europea ha impostato una visione di lungo termine molto positiva per l’ambiente. Noi apprezziamo che la strategia Farm to Fork abbia chiesto di fare normative specifiche affinché qualsiasi materia prima importata in Europa sia sostenibile».
Sullo stesso tema, negli ultimi mesi in Europa si è acceso molto il dibattito intorno all’accordo di libero scambio tra UE e i Paesi del Mercosur, tra cui anche il Brasile. L’accordo è stato firmato a giugno 2019 dopo anni di negoziati, e oggi aspetta la ratifica da parte dei Paesi membri, ma sempre più voci -tra cui il presidente francese Emmanuel Macron, o la commissione Agricoltura del Parlamento europeo- chiedono la riapertura del negoziato. Le critiche, nate dopo gli incendi in Amazzonia del 2019, sostengono che l’accordo aumenterà proprio le importazioni europee di manzo e soia, entrambi prodotti fortemente coinvolti nella deforestazione. «Per quanto riguarda le foreste, l’accordo prevede un impegno alla promozione di una gestione sostenibile», afferma Perrine Fournier di Fern. «Ma riguarda soltanto il commercio del legno illegale, e non menziona affatto le materie prime che spingono la deforestazione, non si fa cenno al manzo o alla soia».
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